Il mio tifo per Novak

Vi spiego perché tifo per Novak Djokovic, al di là del suo valore di più grande tennista di tutti i tempi, di atleta fra i più grandi della storia di ogni sport, di uomo simpatico, generoso, intelligente, leale, alfiere di pace.

Un anno fa… (È già passato un anno ed è un incendioChe mi brucia l’animaIo che credevo d’essere il più forteMi sono illuso di dimenticareE invece sono qui a ricordare)

… un anno fa, dicevo, stavo pensando di togliermi la vita (avete capito bene), perché vennero emessi provvedimenti di legge che mi avrebbero fatto perdere il lavoro (e non prevedevano alcun’altra forma di sostentamento, né la possibilità di trovare altri lavori), mi avrebbero inibito l’ingresso ai luoghi dello sport e della musica che amavo (e amo) frequentare.

A seguito di questo la donna che frequentavo decise di non frequentarmi più, persi la frequentazione di alcune altre compagnie e, in generale, la stima di molti familiari, amici, colleghi, senza aver fatto nulla di male ad alcuno di loro, né a chicchessia. Avessi avuto bisogno di cure ospedaliere (di qualsiasi genere) avrei trovato un ambiente ostile e non interessato a guarirmi. Mi era vietata la possibilità di viaggiare con treni o aerei.

Il Governo riteneva che persone come me non dovessero nemmeno esistere e dovessero essere avviate all’oblio e all’autocondanna determinata dalle proprie convinzioni e comportamenti.

Il tutto avveniva con l’orgiastico consenso di una maggioranza del Paese (e del mondo intero) inebetita, irrazionale, ipnotizzata dalla paura – prima autogenerata e poi indotta dai media e dalla politica – per una malattia che è (ed è sempre stata) di impatto statisticamente infinitesimale sulle nostre vite. Ministri, Presidenti di Regione, leader di partito erano uniti nel sostenere la narrazione che mi condannava all’isolamento e alla morte civile. E si univano a questo coro quasi unanime anche giornalisti, intellettuali, artisti, sportivi, anche fra quelli che maggiormente stimavo e ritenevo in possesso di intelligenza, raziocinio, equilibrio, tolleranza, umanità. “Mi stanno bene le tue scelte, ma ti paghi le spese sanitarie!” proponevano persone anche di cultura e di scienza, “dimenticando” che le cure vengono abitualmente erogate a mafiosi, assassini, avvelenatori, stupratori, evasori fiscali, pirati della strada, nonché a fumatori, disordinati sessualmente, obesi con vizi alimentari di ogni genere, tentati suicidi, praticanti di sport estremi, ecc.

Per evitare tutto questo avrei dovuto sottopormi ad un trattamento sanitario.

Ero a conoscenza dei rischi di tale pratica, ma non era quello a indurmi ad evitarla. Davvero. Non avevo paura. Sapevo che quel rischio era minimo rispetto ad altri che corriamo abitualmente.

Quello che non sopportavo era il concetto di “trattamento sanitario obbligatorio” che è incostituzionale e illegittimo (c’era una procedura di infrazione della UE per i comportamenti dell’Italia, chissà che fine ha fatto) e si impone solo a persone instabili mentalmente e che, in passato, era stato praticato solo da poteri nazisti o dispotici. Un trattamento emergenziale per una situazione che emergenziale lo è stata solo per poche settimane, in una piccola parte del nostro Paese e del mondo e, probabilmente, non per motivi unicamente “virali”.

Non sopportavo che non si prendesse in considerazione il fatto che tale trattamento, palesemente, non funzionasse, in quanto la condizione complessiva dei “non trattati” era la stessa dei “trattati”, che si contagiavano e si ammalavano nella stessa misura. Paesi che non volevano o non potevano permettersi il trattamento non dimostravano alcuna problematica sanitaria peggiore di chi si sforacchiava spietatamente. Anzi.

Non sopportavo che l’informazione sul trattamento fosse caotica e infantile. Dall’arrivo sul furgone dei surgelati a 80 gradi sottozero alla somministrazione in spiaggia. Dall’obbiettivo del 60% (per essere al sicuro), alla necessità del 100%. Dall’esenzione per i bambini al loro coinvolgimento obbligatorio. Dalla necessità di una sola dose di trattamento, all’obbligo di doverlo ripetere per più volte nel corso di un anno. E soprattutto al fatto che la promessa di “vaccinatevi per essere sicuri” fosse l’ennesima bugia di una narrazione basata dal primo minuto su menzogne sistematiche e reiterate. Tant’è vero che anche i siringati dovevano comunque rispettare le altre superstizioni imposte dalla narrazione (patetico inutile e schifoso straccio sulla faccia, liquidini, pugnetti e pugnette varie). E si riuscì a far credere che, se il trattamento non funzionava, fosse per colpa di chi non si era sottoposto ad esso. Come quella donna che era rimasta incinta perché sua sorella non usava la pillola.

Veniamo a Djokovic.

Nel gennaio 2022 Djokovic, il più grande tennista di tutti i tempi, si reca in Australia per una delle competizioni più importanti del mondo. Non è vaccinato, ma ha un’esenzione simile a quella che altri atleti esibiscono, accedendo regolarmente al torneo. Peraltro, con una telefonata ad un medico compiacente, potrebbe procurarsi una certificazione vaccinale e risolvere ogni tipo di imbarazzo, come hanno fatto TUTTE le persone ricche e/o potenti di questo mondo non convinte dalla necessità dell’iniezione, compresi molti sportivi e sicuramente molti tennisti in gara quel gennaio a Melbourne. Un aspetto classista del trattamento che la politica (soprattutto la sinistra) e l’opinione pubblica non hanno mai valutato. Ovvero: chi aveva denaro poteva comprare la libertà sanitaria. Chi ne aveva poco doveva subire l’obbligo della violenza sul proprio corpo.

Le autorità tennistiche confermano la validità della sua documentazione sanitaria. Ma interviene il governo australiano che ritiene Djokovic un ospite indesiderato per “pericolosità sociale delle opinioni da lui espresse”. La polizia lo sequestra per alcuni giorni e il governo lo espelle dal Paese con un interdizione di 3 anni a rientrarvi.

Djokovic, pur di non fare quella telefonata vigliacca che lo avrebbe salvato con una certificazione falsa (e pur di non fare nemmeno quella semplice dichiarazione pubblica che lo avrebbe riabilitato), abbandona l’Australia senza far polemiche, senza usare alcuna espressione aggressiva o irriguardosa, rinunciando ad un torneo che avrebbe quasi sicuramente vinto (il primo premio era di oltre 1 milione di euro) e ad altri successivi, negli Stati Uniti, vincolati all’obbligo vaccinale.

Seguivo la vicenda di Djokovic come quella di un eroe che metteva la sua forza mediatica e sportiva al servizio di chi, quella forza e quel potere, non lo aveva, come me e come tanti altri nel mondo.

Djokovic non è un santo, forse ha fatto cose sbagliate come tutti (di cui comunque non sono a conoscenza). Ma mi ha aiutato in un momento difficile. E gli devo molto. A lui come ad altri, che quando il delirio sembrava dover spazzare tutto, tenevano il timone bloccato nella direzione della razionalità, dell’umanità e della libertà, mettendo a rischio le loro carriere, la loro riconoscibilità sociale e a volte anche la loro vita (questa vicenda ha avuto dei martiri). Vorrei ricordarmele tutte, queste voci che mi hanno aiutato. Voci che possono essermi ostili o distanti se si parla di qualsiasi altra cosa, ma che su questa vicenda hanno condiviso la mia visione tollerante, scientifica e razionale del mondo.

Dai parlamentari Sgarbi, Cunial, Forciniti, Donato, Borghi, Berlato, Paragone ai giornalisti Mazzucco, Duranti, Fusaro, Nervuti, Torella, Gracis, Perruchetti, alle dottoresse De Mari e Balanzoni, allo psicologo Meluzzi, all’attore Montesano (e ne dimentico tanti e altrettanti ne ignoro), ai tanti (ma non tantissimi) amici, semplici cittadini, con i quali ci facevamo forza, tenendoci idealmente per mano in quei giorni tristi.

Adesso Djoko è tornato a Melbourne, accolto da ogni onore. Forse, più degli onori, avrebbe gradito delle scuse ma – da vero signore e uomo di pace – non lo ha fatto notare. Anch’io rinuncio alle scuse che pure la coscienza di qualcuno dovrebbe spingere a farmi. Guardiamo avanti.

Grazie Djoko. Sei grande. Il più grande.

 

One Comment

  • Rocco ha detto:

    Chapeau. Capisco quello che hai provato perché per me è stata la stessa cosa. La frequentazione di persone vicine al mio pensiero mi ha dato ossigeno

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