Il “Fedele” – L’atlante per quel pugno di parole che ci ha fatto crescere

Finita la lettura! 50 anni di produzione, 16 album, 350 canzoni, raccontate in 415 pagine dall’amico Ivan.
Tante pagine, tutte da godere, nessuna da scartare, tutte utili a definire la dimensione gigantesca di un artista prodigioso, che mi fa compagnia da decenni, che mi ha insegnato cose preziose e dipinto vie dei colori lungo le quali ho fatto incontri indimenticabili.
Viaggi, tempo, spazio, natura, animali, sport, sesso, politica, tradizioni popolari, vecchi e bambini, storia e geografia, mare e montagne, religione e naturalismo, astronomia e botanica, vita e morte, guerra e pace, mamme e papà, eroi e anonimi comprimari … E Amore. Perché Amore è tutto ed è tutto ciò che noi sappiamo di esso. Perché darsene di più è l’unica (e ultima) speranza. Perché è il miracolo che rende l’Uomo capace di miracoli.
Ivan ha indagato il mondo delle parole di Claudio Baglioni scrivendone in modo chiaro e brillante, per consentire ad ognuno di noi, fan o non fan, di percepire la quantità infinita di sapienza letteraria che quella produzione contiene e che deflagra quando si riveste di musica. Lo ha potuto fare perché le parole le capiamo tutti. Ma altrettanto lavoro e altrettanta ricchezza potrebbero celarsi (mi dicono, ma lo immagino da sempre) nel patrimonio musicale, che richiede conoscenze specifiche per essere spiegato e compreso, che in pochi possiedono (e purtroppo io non sono fra questi).
Una montagna di parole e di ispirazioni letterarie sposata ad una montagna di note e armonie. Espresse da una voce sublime, sgorgante da un organismo con innaturali doti di resistenza, di fiato, di cuore (sia nel senso “cardiaco” che in quello della volontà e della passione), da un uomo piacente, elegante, sportivo, spiritoso e rispettoso del prossimo (uomo o donna, istruito o meno, imperatore o poveretto che sia).
Accertato l’oggettivo primato “per dimensioni” della produzione di Claudio, si accetta che il gusto sia gusto e consenta di storcere il naso, di avere detrattori e persino “dei trattori”, nei non infrequenti casi di dichiarata antipatia. Agli occhi di molti la monumentale produzione sentimentale – che più delle altre gli ha dato soldi, fama e riconoscibilità – si stende come una colata di caramello su qualsiasi altra cosa. Come se quel nome, quella voce, quegli occhi scuri diventati grandi, potessero cantare solo di amori dolenti. Come dicevano i capi dell’IBM al dipendente Luciano De Crescenzo, concittadino di Ivan, già in luce come autore brillante, redarguendo i suoi interventi alle riunioni di lavoro: “A Decrescè: finché si scherza si scherza!”. Come se le corde delle sue chitarre fossero le sbarre di una prigione che rinchiude la prorompente genialità che sgorga da mille altre sorgenti. Un po’ come se Giotto venisse ricordato solo come quello che faceva bene la “O”. Dimenticando che se Claudio viene grossolanamente etichettato come “quello del passerotto”, anche Leopardi è “quello del passero” (solitario) e che tutti i grandi della letteratura si sono cimentati con le vicende dell’amore sensuale giovanile.
Si fruisce in vari modi della musica di Claudio. La si può intercettare per caso alla radio, per strada, ad una festa. Spesso si tratta di sequenze di note che sono stelle fisse nella “memoria uditiva” di ogni italiano. La doppietta di fa/mib/reb/do che apre Questo Piccolo Grande Amore; o l’ampio respiro dell’intro di E Tu (dove mise le mani Vangelis) o le note spazzolate di Mille Giorni (sulle quali lavorò Walter Savelli). Non si resiste. La forza evocativa è quella del pomporopomporopompompò che apre Fratelli D’Italia.
Proseguendo nell’ascolto disattento si possono cogliere parole-civetta che sanno bene come si superano le rocce di giacche, cravatte, telefonini, arrivando al cuore nudo, dando una sferzata emozionale anche ai più distratti.
Oppure ci si può soffermare con attenzione sul patrimonio letterario che contiene ogni (ogni!) sua composizione in quell’arte povera che è la canzone, che dura pochi minuti, è un odore, una bugia, ma può sfracellare il castello emotivo di chiunque.
Ivan ha ovviamente fatto di più. Si è immerso nei viaggi di Claudio. Nella linearità di quello che dura da 72 anni che chiamiamo “vita” o quello che dura da oltre 50 che chiamiamo “carriera”. Ma anche quello che caratterizza ogni suo album. Un filo conduttore, la trama di romanzi in musica e rime che ci vuole l’attenzione di Ivan per individuare ogni volta con nitidezza, permettendoci il godimento della conoscenza e della messa a fuoco di tanti segreti che sfuggono anche agli ascoltatori più attenti. E poi il racconto di ogni singola canzone, la verbalizzazione di quel comporre cinematografico che ha caratterizzato Claudio dal principio e che, da nuda parola, si riveste della seduzione di musica e interpretazioni magiche.
Un tenace lavoro di raccolta di interviste, dichiarazioni, scritti, ha permesso a Ivan il più assoluto rigore filologico nelle interpretazioni, riducendo la sua discrezionalità nel leggere fra le righe dei contenuti. E’ una limitazione che sarà costata qualche morsicatura di lingua, qualche rospo da inghiottire per frenare la tastiera su interpretazioni più legate al gusto personale, o ad aspetti biografici o a personaggi e dediche non esplicitamente confermate dall’autore. Magari un giorno Ivan, con tutti i rospi, con tutti gli avanzi di lavorazione, scriverà un altro libro. Molto meno politically correct ma sicuramente intrigante (scherzo: l’impeccabile integrità morale, che parte dal suo cognome, glielo impedirà).
Ivan accende una ulteriore torcia su brani a volte già molto luminosi altre volte criptici ed impenetrabili. Va a pescare le infinite citazioni (Dante, Leopardi, Manzoni, Omero, Pasolini, Shakespeare, Lorenzo il Magnifico… la conoscenza di Claudio della letteratura e della poesia del passato è sterminata, così come l’abilità di riciclarla nel pop, cosa che quei poveracci di Striscia La Notizia chiamano “copiare”), i riferimenti storici più nascosti, i giochi di parole che potrebbero sfuggire, così come il finissimo umorismo o i doppi sensi birichini legati alla sessualità, numerosi come forse non immaginerebbero nemmeno gli ascoltatori più attenti.
Ivan dà il massimo nella descrizione del viaggio di “Oltre”, la Divina Commedia del pop, l’introspezione più profonda, più alta, più disperata, che affianca Claudio a Dante (che bello sapere che il genio che ha creato la dimensione letteraria della nostra lingua e il genio che l’ha usata meglio di chiunque altro si siano trovati, per due volte, a cento metri di distanza, nel centro della mia città…)
Il libro di Ivan è l’ultima pagina della rivista di enigmistica. Quella che contiene tutte le soluzioni. Quella che fa dire “ah, è vero!”. Quella che risolveva (in tempi senza telefonini) quel nodo su cui vi eravate crucciati per tutta la settimana. Il tom tom con cui muovervi in una materia che può rendervi diversi e migliori, come ha già fatto con molti di noi.
Credetemi (e credete a Ivan): considerare Claudio Baglioni semplicemente “un cantante” vuol dire ripetere l’errore di chi dice che Giotto era quello che sapeva fare bene la “O”. Solo Claudio stesso può permettersi di irridersi, definendo le sue magie letterarie “romanticume” o “un pugno di parole” e la sua musica, in fin dei conti, un generico tattattà, rimpiangendo spesso (“ma non lo so dire”, “come ti dirò?”, “non sono mai stato poeta”) di non aver saputo fare di meglio.
Claudio Baglioni è l’avventura musicale che ci ha fatto più grandi, ma (fortunatamente)  meno soli per il mondo. E’ stato un onore intercettarla e condividerne un tratto così lungo, e poterla ora conoscere meglio attraverso le mille sfumature e le mille profumazioni raccontate da Ivan alla sua bellissima Sara Myriam e, attraverso lei, a tutti noi.
Leggete “il Fedele”, perché attraverso esso capirete meglio Claudio e attraverso Claudio conoscerete più cose (e più belle) di voi stessi e del mondo che vi sta intorno.

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