Quella volta che Brusi…

QUELLA VOLTA CHE BRUSI…

Quella volta che “fra vincere e perdere la differenza è più del doppio”.

Quella volta che “la differenza fra XXX (noto palleggiatore) e Fabio Vullo è quella fra la macchina che avevo prima, che era una Punto, e quella che ho adesso, che è una Thema”.

Quella volta che “se fanno le Olimpiadi dell’incompetenza, la dirigenza della società XXX vince primo secondo e terzo posto”.

Quella volta a Vienna che – mentre la Sisley Treviso era alla riunione tecnica – prese e nascose tutte le loro borse e le restituì solo dopo 10 minuti di loro furiose ricerche al grido di “Se penso di voler vincere la Coppa dei Campioni per prima cosa tengo da conto alle mie borse”.

Quella volta, durante Tangentopoli, che si confidò con il sodale Ico Tabanelli: “Se ci mettono in galera chiediamo di stare nella stessa cella con i sigari e potremmo essere felici lo stesso”.

Quella volta che gli riferirono che i giocatori erano stressati e rispose “i veri stressati sono quelli che vanno a diradare le bietole”.

Quella volta che “in una società deve comandare un numero di persone dispari e minore di tre”.

Quella volta che “l’amico Julio, l’amico Leo, l’amico Jacopo, l’amico Daniele, l’amico Piligi, l’amico Giorgio (Velasco, Turrini, Volpi, Ricci, Rambelli, Bottaro, le compagnie preferite), ma anche “l’amico Magri, l’amico Trapanese…” (presidente-rivale della Maxicono e della Federvolley e arbitro fra i più criticati); tutti “amici” perché si sentiva dentro un grande parco giochi.

Quella volta (sabato scorso) che Margutti si è presentato al funerale con la maglietta della salute sotto i vestiti e i capelli asciutti, perché “finché la somara la guida lui, io devo dare retta”.

Quella volta che “io ho una grinta che ti do un morso nel naso” (così, senza motivo).

Quella volta che “Signor Arbitro: io mi sono auto-espulso!” e se ne andò negli spogliatoi.

Quella volta che “il Brusi-Due non lo faccio, perché il Brusi-Uno è insuperabile”.

Quella volta che “io… io… mi accusano di dire sempre “io”, ma adesso ho imparato a dire anche “noi””.

Quella volta che mi cacciò dall’ufficio perché “Devo sbrigarmi se no arrivano i genitori e gli zii e io non posso godermi la mia nipotina Bianca” (appena nata).

Quella volta che rivolse critiche pesanti alla gestione-Bonitta e quella volta (sabato scorso) che Bonitta, in conferenza stampa, gli dedicò subito la vittoria, nonostante i dissapori, “perché sarebbe stato felice per la vittoria della squadra della sua città”.

Quella volta che costruì il Messaggero e gli fecero notare che c’erano Bernardi e Montali liberi e rispose “Mantengo i miei impegni e mi tengo Margutti e Ricci”.

Quella volta che Turrini intervistò Di Pietro a bordo del suo trattore e da lì chiamò Peppone che apostrofò l’ex PM: “Mi hai inquisito lo sponsor! Altrimenti avrei vinto per dieci anni” ottenendo la risposta incredula del molisano: “Ma che c’azzecco io coi palloni???”.

Quella volta che, straziato, raccomandò all’amatissimo Vigor, appena scomparso, di portare un saluto a suo figlio.

Quella volta che, in epoca Covid, le celebrazioni del trentennale dello scudetto avvennero in streaming e baciava il video ogni volta che comparivano i suoi giocatori e le sue giocatrici e alla fine, risentendo la mia radiocronaca degli ultimi punti, si commosse e mi abbracciò come se avessimo vinto un’altra volta.

Quella volta che “te, Ortofresco, sei l’unico che certe cose ha il coraggio di scriverle”.

Quella volta che sei andato via e non eravamo ancora pronti.

Addio Peppone, grazie per tutte “quelle volte” che mi hai divertito e insegnato qualcosa.

Ortofresco

 

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