Uà, perché Uomini di Varie Età si nasce e lui, modestamente, lo nacque

“Uà” è una trasmissione televisiva andata in onda al sabato, su Canale 5, in tre puntate di oltre tre ore ciascuna, fra il 4 e il 19 dicembre 2021.

In esse Claudio Baglioni – ideatore e mattatore assoluto dello show – racconta la sua vicenda artistica e personale, proponendosi in una moltitudine di duetti e sketch con personaggi fra i più celebri e amati del panorama nazionale musicale, cinematografico e televisivo, con il supporto della sua fedele squadra di orchestrali e coristi e con i performers coordinati dal coreografo Peparini.

Il titolo si deve ad un’esclamazione di meraviglia che Claudio bambino scambiava con il padre, quando questi gli raccontava una storia che raffigurava il Gazometro di Roma (elemento centrale della scenografia) come una torre da cui uscivano magie.

“Uà” è anche la contrazione del titolo “Uomo di Varie Età”, la canzone autobiografica portante nell’ultimo album “In Questa Storia Che E’ la Mia”, uscito nel dicembre 2020, unico brano “nuovo” presentato come sigla finale della terza puntata, in un programma che vietava la promozione di prodotti in uscita (unica altra eccezione concessa ai mediocri comici Pio e Amedeo che hanno “spinto” il loro film di Capodanno).

Ho visto ciascuna delle tre trasmissioni con grande attenzione e poi – a “caldo”, in adrenalina, a tarda notte, senza aver preso nessun appunto – ho scritto testi di riflessioni che ho pubblicato sulla pagina FB “Al Festival con il Capitano Claudio”.

Riporto qui i tre racconti unitamente ad altri interventi nati a margine delle messe in onda. Ringrazio tutti coloro che hanno avuto attenzione e apprezzamento.

 

1.

Che scorpacciata!!! Quanta roba porca l’oca!!! Tre ore piene di musica, di personaggi carismatici, di momenti poetici, di citazioni commoventi, nel filo conduttore di questa storia che è la sua ed anche la nostra.

Uno show “moderno”. Chi ha il fisico (come noi) può reggere 3 ore e arrivare a tardissima sera, fino alla fine, fino a che si può, fino al confine, fino all’ultimo, fino a che ce n’è ancora un po’, fino a sperare che un nuovo sabato arrivi presto.

I meno “applicati” avranno piluccato qua e là, magari riservandosi di recuperare qualcosa on demand, essendo uno spettacolo “spacchettabile” in sezioni che si possono apprezzare anche singolarmente, come numeri isolati.

La sola “cucitura narrativa” di Claudio andrebbe vista sequenzialmente. E secondo me è stata una delle cose più interessanti ed emozionanti, anche se è una storia che conosciamo già bene. Stimolante anche cogliere, negli arpeggi di sottofondo, le tracce di brani per soli frequentatori di nicchie del repertorio baglioniano.

Claudio è partito con un magnifico monologo dedicato alla sua famiglia, alla radio, alle magie dell’infanzia, quasi agganciandosi al testo presentato poche ore prima allo Zecchino d’Oro da un’incantevole bambina lombarda, a cui Claudio ha dato musica e cuore. Sembrava veramente che guardasse il Cielo e dicesse con gratitudine “c’è (stato) sempre un po’ di voi”.

I duetti sono stati tutti di gran livello, i personaggi scelti accuratamente fra campioni della canzone e del teleschermo. Renato Zero, Ramazzotti, Britti, Giorgia, Il Volo, Ultimo… numeri tutti ben costruiti e curati sia nelle canzoni del repertorio di Claudio sia in quelle degli ospiti, con coreografie bellissime dei performer e con una fidata squadra d’orchestra e cori che non sbaglia mai.

A goderne immagino sia stato un pubblico di età “matura”, tipico del sabato sera televisivo. Un pubblico che ha potuto cogliere omaggi “agèe” come quelli a Morricone, a Cochi e Renato, a Wess e Dori Ghezzi, a Totò, a Stanlio e Ollio, a Walter Chiari (“Vieni avanti cretino!”), ad un film archeologico come Miracolo a Milano (quando “con la fantasia” la Vespa con Claudio e Laura Chiatti vola via come la scopa del film) e alla grandissima Raffaella Carrà che, da lassù, avrà sicuramente apprezzato il modo – pepato ma delicato – con cui il suo mito è stato interpretato da Michelle (per la quale concedetemi un’ammirazione maschile sconfinata e crescente).

Ho trovato eccellente il numero di Pannofino e ancora più quella coreografia di ragazzi catatonici rapiti dalle parole e fra i quali sopraggiunge lo stesso Claudio per ascoltare a testa bassa quel testo così intensamente riprodotto.

Marcorè e Favino sono due fuoriclasse straordinari. Il loro numero è stato caruccio, ma da loro mi aspetto sempre il top. Ancora una volta (come a Sanremo) il limite di scrittura dei testi comici è stato un piccolo neo. Meglio è andata con Frassica (per quanto nemmeno lui ai suoi massimi livelli) che si è “portato i panini da casa” ovvero ha realizzato in proprio il suo numero, con quella magnifica, inattesa e drammatica conclusione che ha lanciato “Noi No”.

Insomma, tanta roba, tanti ricordi, tanto talento, tanta Italia, tanto di noi e tanto di chi ci ha accompagnato e insegnato bellezza in tutti questi anni. E sabato si torna q-uà !

PS: secondo me si poteva usare “Uomo di Varietà” come sigla iniziale e/o finale.

 

2.

Una volta la TV, quando mi emozionava, mi si scolpiva nella memoria, che per molto tempo ho avuto prodigiosa.

Adesso non riesco più. Quel quadrato luminoso mi incanta ancora, ma la ram è ormai piena; si gode del momento, si ricorda il mood, il senso di meraviglia, ma i dettagli finiscono fuori ordine e fuori catalogo.

Finisce la seconda puntata e, a prescindere dal titolo, si dice “UA’!”. Lo si direbbe comunque. Uà, quanta meraviglia, quanti numeri, quante idee, quanto talento quanta storia e quante storie.

La trasmissione è un contenitore pieno del migliore passato, con qualche spruzzata di presente e con l’ambizione di essere modello e riferimento per un futuro televisivo fatto solo da chi ha qualcosa da dire, da cantare, da ballare, da comunicare, da trasmettere ad anime e cuori delicati in ascolto. Via dalla TV chi non sa fare niente. Sciò. Che tornino dalla parte dello schermo che gli spetta: quella di chi guarda.

La trasmissione è dolcemente malata di gigantismo. Claudio ci ha voluto mettere dentro tutto lo spettacolo leggero del suo tempo di vita. Alla fine della terza puntata ci vorrà un indice dei personaggi, degli autori, degli interpreti, degli attori che sono stati citati almeno per una volta. E sarà un elenco sterminato. Claudio è probabilmente l’unico che lo può rappresentare tutto, perché lo porta tutto continuamente con sé, lo conosce come nessuno, lo indossa, lo valorizza, lo rappresenta, lo tutela, lo rispetta, ricevendone a sua volta il riconoscimento di capoclasse credibile. Tutti i generi di canzone, tutto il varietà (che conosce da fan devoto quale è sempre stato), tutta la poesia (di cui è fruitore vorace), tutte le belle voci, i bei suoni, le belle architetture sceniche, i bei movimenti, i bei costumi… le belle donne! Vorrei sottolineare questa super abbondanza di donne bellissime, dove la fortunata generosità delle rispettive mamme è stata esaltata da percorsi artistici che hanno dato a quei volti e a quei fisici il fascino dei bei pensieri, delle belle parole, dei bei gesti.

Apre la sfilata proprio una super-bella come Rocio Munoz, con un monologo bellissimo e impegnativo sull’effetto nostalgia delle canzoni. Rocio chiuderà l’esperienza con untweet devoto che, ancora una volta, evidenzia la sensazione di stordimento artistico che pervade quasi tutti coloro che si trovano a dividere un percorso con questo mago delle emozioni.

Di nostalgia ce ne sarà parecchia, con tanti omaggi ad indimenticabili “amici delle nostre orecchie” ormai volati via: Endrigo, Donaggio, Dalla, De Andrè, Tenco, Bongusto … Sono tutte canzoni che conosco bene, perché sin da bambino ho avuto attenzione appassionata per questa “arte povera” (come la chiama ironicamente Claudio che, con essa, è diventato ricchissimo) che mi ha portato spesso a retrocedere e recuperare quanto era stato scritto e cantato anche prima che io nascessi, quando qualcuno aveva già comunque cominciato a pensarmi.

Con l’eterno Morandi, Claudio duetta sicuro sulla scia della trionfale tournee che fecero insieme qualche anno fa. Venditti diverte mettendo in scena la vecchia amicizia degli esordi; Zucchero fa un po’ a modo suo, prestandosi giusto il minimo alla devozione per il padrone di casa, in cui quasi tutti gli altri (ad esempio l’ottimo Sangiorgi) sprofondano senza timore.

A mio personale giudizio gli “highlights” sono il set di Achille Lauro (quel ragazzo è un grumo selvaggio di talento che può avere applicazioni fantastiche come quella di stasera) e la “battaglia” al pianoforte con Andrea Bocelli, che si chiude in gloria con “La Voce del Silenzio” anche per ricomprendere la imprescindibile Mina (Comunicazione di Servizio: “Bocelli! Prendi quella cazzo di “Come ti dirò” di Claudio e fanne un classico della lirica per iprossimi 100 anni! Fallo subito! Già non averlo fatto stasera è un delitto, capito????”).

Molto belli i racconti di Claudio nell’intimo ricostruito di una cameretta di bimbo; bravo Insegno in prosa; la parte comica non sarà il comparto di questa trasmissione che passerà alla storia (quei due pugliesi è già un po’ di volte che dividono il palco con Claudio e, purtroppo, non mi fanno ridere mai) ma la brillantezza leggera di tanti momenti vale più di mille battute.

“Io sono qui” è più brano da impatto iniziale che da sigla finale. E ancora non è pervenuto un solo accenno dell’ultimo formidabile disco che, se ben capisco, sarà tenuto fuori da questa celebrazione, rimanendo pepita inestimabile per i ricercatori più tenaci.

Arrivederci a sabato, uomo di varie et(u)à.

 

3.

Sulle ultime note di “Uomo di Varietà” (tanto prevedibile quanto esaltante brano finale) si chiudono 3 sabati e 10 ore di meraviglie musicali e televisive. Mi vengono due aggettivi: “Finito” e “Infinito”.

“Finito” è la dolorosa constatazione che anche le cose più belle hanno una scadenza. E sabato prossimo sarà una Vigilia per i credenti, ma priva della vigilia di una speranza di luce e di una canzone nuova come quelle che ci eravamo abituati a veder sgorgare dal nostro elettrodomestico preferito, in questi sabati passati in compagnia del campione di cui siamo tifosi.

“Infinito” perché la straordinaria ricchezza di personaggi, parole, note, ricordi, omaggi, voci, risate (quest’ultime di minor qualità rispetto a tutto il resto) meriterà tanti altri passaggi futuri, resi possibili dal magic box della rete e potrà farci ancora tanta compagnia, come legna pregiata per l’ideale camino che potrà scaldarci in questa faticosa metà di inverno che ancora ci resta da attraversare.

Ho l’impressione che oggi Claudio abbia abbondato con l’esposizione della sua presenza e del suo repertorio, soprattutto nella seconda metà della trasmissione. Come a dire: “se avete resistito ai primi due sabati e mezzo vuol dire che mi volete proprio bene e allora vi beccate raffiche ripetute della mia storia a-canto e fanculo i criticoni, gli invidiosi e i no-uàx. Consegno la mia storia, così come l’avevo sognata, ad una Storia che non si misurerà con l’auditel”.

Claudio ha completato oggi un album di figurine che (se sommiamo le altre esperienze di confronto artistico con i suoi colleghi, come le 10 edizioni di O’Scià a Lampedusa, Anima Mia, i due Festival di Sanremo, il disco QPGA per limitarci alle più affollate) credo possa mancare del solo Vasco Rossi, unico campione della nostra arte popolare, fra i viventi, di cui Claudio non sia riuscito a tradurre i capricci e ad aprire una linea di dialogo e di collaborazione artistica.

In questaterza puntata i “gol” rimasti in mente, per me, sono stati il duetto con Mahmood, artista che non è nelle mie corde, ma che possiede una voce-strumento pienamente funzionale ad una magica “Io Dal Mare”; l’apparizione di Anna Oxa, fuoriclasse della nostra canzone in disarmo da qualche tempo, che tira fuori le unghie per un’ottima “Poster”; l’energia ancora credibile e intensa di Cocciante e Ranieri sulle loro intramontabili “Vent’Anni” e “Bella Senz’Anima” (che devo imparare a dissociare dal numero comico del mio conterraneo Cevoli, una delle cose che mi ha fatto più ridere in vita mia); perfetto e sorprendente anche Stefano Fresi, nella rievocazione del Piper di Roma.

Fra le performance di Claudio in “assolo” è stata inaspettata e folgorante “Fammi Andar Via” con Eleonora Abbagnato a riempire di grazia un fantastico pezzo di oltre sei minuti che in prima serata televisiva è bello e audace, ma… il segno della croce, perché non lo vedrete sicuramente mai più.

Un’osservazione sui balletti che sono effettivamente di qualità sublime, ma a volte sembrano perdere la loro funzione didascalica del tema trattato, divenendo prodezze fini a se stesse, come se “questa storia” non fosse quella di Claudio, ma quella… di Peparini.

Claudio, durante le tre serate (non so se le altre trasmissioni lo facciano così massicciamente, perché la TV generalista non la guardo mai) sdogana (spero definitivamente) il contatto delle mani come elemento scenico e chiave per trasmettere eleganza e rispetto per le artiste che lo hanno accompagnato. E’ la doverosa riconquista di una normalità galante e affettuosa che il buio tunnel di questi due anni di crisi sanitaria aveva criminalizzato spietatamente e di cui dobbiamo rapidamente tornare ad impossessarci.

La storia finisce dove era cominciata. Nella cameretta col muro che sudava, davanti alla radio-armadio parlante; immerso in giochi e pensieri solitari, perché non c’erano soldi per comprare un fratellino. Un breve ed emozionante monologo ci ricorda le stranezze di una vita da artista, favolosa e fortunata come la sua.

Capiamo che è il tempo di salutare il nostro amico di varie età con la recente canzone che ne definisce la fantastica parabola professionale, pronti ad un “su le mani dai divani!” e ad alzarci insieme come quando c’è un gol allo stadio, per applaudire commossi al completamento di questo nuovo prodigio.

Mentre lui ci garantisce che il suo incanto davanti al fascino delle parole e dei suoni è ancora quello di quando era ragazzino, noi rispondiamo che, a nostra volta, riusciamo a reagire ancora con la stessa energia di tanti anni fa, quando avvicinammo questo mago incantautore, che oggi ci trova uomini e donne maturi, ma che ci riporta ogni volta ad essere i ragazzi di quella verde et(u)à che, con lui, non tramonta mai.

 

 

ASCOLTI

Forse perdiamo il nostro tempo a riflettere su questi meccanismi…

Però, accidenti, si rimane increduli.

Non possiamo ridurre tutto ad una disfida fra   gesù-qualità-uà    e     barabba-mediocrità-carlucci.

Non possiamo farlo perché (anche se non la vedo dai tempi in cui teneva il sabato sera con Frizzi) la Carlucci è bravissima e la sua trasmissione (mi dicono gli amici) non è esattamente il demonio di volgarità e populismo che, per comodità, qualche criticone usa per le sue argomentazioni

Ma porca miseria: leggete il semplice elenco dei partecipanti a “Uà” (per non parlare di quelli citati, evocati od omaggiati durante lo stesso): sono tutti i campioni della nostra cultura popolare, star che riempiono stadi, attori che riempiono cinema, i comici più richiesti… il corpo di ballo (è limitante chiamarlo così), l’orchestra e i cori sono quanto di meglio ci sia in giro; ci sono moltissime belle donne, tutti sono vestiti in modo molto elegante, la trasmissione ha un buon ritmo registico e lo stesso Claudio mi pare che raccolga un evangelico consenso, magari a denti stretti, ma sincero… Mentre lo spettacolo Rai fa audience con un cast di artisti di seconda, terza e, mi pare, anche quarta scelte. Gente che per entrare in un teatro televisivo, normalmente, doveva pagare il biglietto.

Possibile che ci si sia disabituati al bello? Che un telespettatore prenda le distanze da ciò che lui stesso ha dimostrato di apprezzare? Cosa manca a “Uà” per fare gli ascolti di Sanremo o almeno dello show concorrente della Rai o almeno degli altri show del sabato sera Mediaset?

La gara? Può essere. Le polemiche? Davvero? Le giurie, il televoto, la suspense del verdetto, la commozione di chi vince, il rancore di chi perde? Le telepromozioni? La ritualità? (nel senso che Sanremo o la Carlucci sono appuntamenti fissi da tempo, ma… non diciamo sempre che vogliamo novità?) L’imprevisto (un Morgan che litiga con Bugo, due giurati che bisticciano, una minaccia di squalifica)? Qualcuno che, di tanto in tanto, screzi la bellezza per lanciare qualche contenuto sguaiato? C’è forse qualcuno che non guarda mai Mediaset per pregiudizio culturale o socio-politico?

Lo show di Claudio è bellissimo, ma non è “difficile”. Prevale una leggerezza diffusa, anche se ci sono passaggi più riflessivi (penso allo splendido intervento di Monica Guerritore che ha lanciato Uomini Persi). Il grande pubblico ha dimostrato di tollerare e premiare anche tematiche più impegnate, si pensi a Metal-Moro che vinsero Sanremo con “Non mi avete fatto niente” e Mirko e il Cane che sfiorò il successo nella categoria giovani con “Stanno tutti bene”; ebbero grande consenso pur essendo due pugni allo stomaco.

Aggiungo un particolare: a fine Anni Novanta Claudio registrò clamorosi successi televisivi con formule piuttosto simili sperimentate per Anima Mia e Ultimo Valzer. Possibile che manchi Fazio? O è cambiato il pubblico (probabile, perché sono passati 20 anni che per la comunicazione è come se fossero 200)?

Insomma perché un pensionato non ha interesse a sentire le canzoni di Celentano o di Battisti cantate da Bocelli o da Giorgia, pur adorando Celentano o Battisti, pur ammirando i talentoni di Bocelli e di Giorgia, pur riconoscendo a Claudio la professionalità necessaria per legare il tutto?

Come direbbe Crozza-Zaia “ragioniamoci sopra”.

 

 

TOUCH

 

 

L’aspetto  “corporeo” è un ingrediente nemmeno così secondario del percorso di Claudio, specialmente di quello dell’ultimo ventennio, caratterizzato da infiniti incontri e duetti. Archiviati gli “sbagli” ormonali di W L’Inghilterra, Claudio ha toccato le persone con una classe talmente raffinata da divenire essa stessa “canzone”. Lo ha fatto prendendo per mano le bellissime donne che lo hanno accompagnato in questa avventura televisiva (e per bellissime non intendo solo, o non solo, dal punto di vista “veliniano”, ma per la grazia artistica di cui sono rivestite, per esempio la Vanoni di ieri era, a suo modo, bellissima). Ma lo sa fare anche con gli uomini, anche quelli serenamente eterosessuali come me e come (credo) lui, come posso confermare per esperienza diretta nel mio fortunato incontro di 2 anni fa.

Toccarsi nel modo dovuto, nel momento in cui si raggiunge una condivisione importante (che può essere artistica, ma anche di vita o di lavoro, oltre ovviamente a quelle sentimentali) è un filone oscuro della nostra cultura che Claudio ci aiuta ad esplorare, ancora una volta col ruolo di maestro che gli si addice. La recente vicenda sanitaria ha flagellato questa ricerca con diffide che, dopo due anni, attendono ancora la riprova della loro utilità, ma che, a prescindere, vanno rimosse, perché il “male” (sicuro) che hanno apportato (penso soprattutto ai bambini) rischia di essere ben superiore al “bene” (al momento presunto e non misurabile) che si riproponevano di apportare.

 

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